Al Pizzo Tre Signori lungo la Val d'Inferno - 1 - 2 - 3 (seconda pagina)
 

L'alpeggio si estende dai 1400 agli oltre 2000 metri di quota e ha un potenziale di 85 paghe; è di proprietà del comune di Ornica che lo concede in affitto alla società degli allevatori del paese, tuttavia da qualche anno viene caricato da estranei.

La salita continua
La salita continua
La salita continua
Il sentiero ora scorre tra i pascoli
Qui si cammina bene
Baita Ciarelli in ristrutturazione
Qui si cammina bene
Baita Ciarelli in ristrutturazione
L'alpeggio dispone di abbondanza di acqua per i numerosi ruscelli e per l'estensione e il notevole dislivello è suddiviso in una decina di stazioni dotate di baite, casere, stalle, penzane, diversi bàrech e calècc . Le baite più caratteristiche si trovano alla quinta stazione (baita Gaos), alla sesta (baita Spondone), alla settima (baita Ciarelli) e all'ottava (baita Predoni, costituita da un unico locale ricavato sotto il tetto di un'enorme pietra e delimitato da muri in pietra a secco).
Enormi massi, pietroni, sparsi in alpeggio
Baita Predoni tra i pietroni (pred�) a quota 1800 mt.
Enormi massi, pietroni, sparsi in alpeggio
Baita Predoni tra i pietroni (predù) a quota 1800 mt.
Rex', a guardia della baita?
Ritrovo di escursionisti con Rex in festa
'Rex', a guardia della baita?
Ritrovo di escursionisti con Rex in festa
Ultima baita, Corna dei vitelli, a quota 1900 mt.
Ultima baita, Corna dei vitelli, a quota 1900 mt.
Ultima baita, Corna dei vitelli, a quota 1900 mt. e... ultima foto, perché, a causa della nebbia, non si poteva far foto in quota.

Il tratto che va dalla casera all'estremità settentrionale dell'alpeggio richiede un'ora di cammino. Dopo la baita Corna dei vitelli, che costituisce l'ultima stazione, la mulattiera, ormai ridotta a poco più di una pista, incontra, a quota 2088 mt., il sentiero delle Orobie occidentali, contrassegnato con il numero 101 (che porta al Rifugio Grassi da un lato e al Rifugio Benigni dall'altro).
Ormai il paesaggio si è fatto spoglio, i pascoli hanno via via ceduto il passo a sterpaglie e macereti. Da qui si può ammirare la caratteristica �Sfinge�, un enorme sperone roccioso che sembra riprodurre il volto enigmatico degli antichi monumenti egizi. Una presenza inquietante e severa, che domina la parte terminale della Val d'Inferno, prima dell'erta finale verso la Bocchetta d'Inferno (a quota 2306 metri ) e il Pizzo del Tre Signori, sulla cui vetta anticamente si incontravano i confino della Repubblica Veneta (Val Brembana), del Ducato di Milano (Valsassina) e dello Stato dei Grigioni (Valtellina).
La discesa verso Ornica si presta ad alcune varianti rispetto al percorso seguito nella salita. In particolare, giunti alla base dell'alpeggio, si può seguire un sentiero che si snoda sulla destra orografica della valle e porta alla baita Zöc, sulla cui facciata sono affrescati tre bei soggetti sacri di epoca settecentesca.



La leggenda della Val d'Inferno

Come già detto, un tempo la Val d'Inferno non aveva questo nome, ma si chiamava Val Fornasicchio. Fu probabilmente la presenza, nella sua parte più bassa, di forni e fucine che alimentò nella fantasia popolare l'accostamento dell'immagine del fuoco a quella dell'inferno, luogo del fuoco per eccellenza.
A tale concezione è legata anche una leggenda, per la verità alquanto ingenua, che ancora oggi è raccontata a Ornica.
Nei secoli passati, tra la bocchetta del Monte Trona e il lago Nero esistevano diverse miniere di ferro. Parte del minerale estratto veniva trasportato a Ornica, a dorso di mulo, per alimentare il forno di fusione.
Il forno era gestito da persone forestiere, specialiste del mestiere, che si dedicavano senza sosta a ridurre il minerale in ferro puro. Questi forestieri, narra la leggenda, non vedevano di buon occhio gli abitanti di Ornica, al punto che, trovandosi a corto di legna o di carbone, non si facevano scrupolo di prendere qualche ornichese che passava da quelle parti e gettarlo vivo nella fornace per alimentare il fuoco.
Una terribile paura assalì allora gli abitanti di Ornica che presero a chiamare quel luogo la valle dell'inferno.
Le prepotenze dei forestieri durarono a lungo poi, finalmente, i capifamiglia di Ornica, risoluti a porre fine a quelle crudeltà, si riunirono in assemblea e decisero di inviare tre loro rappresentanti a Venezia per chiedere aiuto.
Così fu e i tre delegati, dopo il viaggio in laguna, se ne tornarono a Ornica portando con sé un carro di archibugi e bombarde.
Felici per il buon esito della missione gli ornichesi costruirono un fortino in località Piazze, vi installarono le armi e presero a far fuoco contro i forni, distruggendo in breve ogni cosa.
Così gli impianti infernali sparirono, ma il nome dato alla Valle d'Inferno è rimasto fino ad oggi.

La baita del Diavolo
In Val d'Inferno non poteva mancare la�baita del Diavolo.
Questa leggenda si perde come al solito nella notte dei tempi, quando alcuni pastorelli, mentre portavano al pascolo il loro gregge in Val d'Inferno, arrivarono nei pressi di una baita diroccata.
Incuriositi dal fumo che usciva dal camino i ragazzi si avvicinarono alla baita e gettarono uno sguardo all'interno, attraverso una piccola finestra munita di una robusta inferriata.
Quello che videro li riempì di spavento: un omino magro, dalla lunga barba bianca e completamente calvo stava accanto al camino in cui ardeva un fuoco vivo e scoppiettante.
Appeso alla sosta (catena) del camino un paiolo di rame, tutto sporco di caligine e pieno zeppo di marenghi d'oro.
Il vecchietto, con un ghigno satanico, stava accanto al paiolo e con un grosso e nodoso bastone rimestava le monete nel paiolo, come si fa con la polenta.
Ogni tanto smetteva di mescolare, si avvicinava a un fascio di vergella (bacchette di ferro pronte per essere ridotte in chiodi nelle fucine), ne tagliava piccoli pezzetti e li aggiungeva al contenuto del paiolo.
Che stesse trasformando il ferro in marenghi d'oro?
Questa fu la domanda che si posero gli sbalorditi spettatori dell'infernale operazione. I quali non ebbero più dubbi sull'identità dello strano personaggio quando si accorsero che al posto dei piedi aveva due grossi zoccoli bovini. Il Diavolo in persona!
In preda al panico i pastorelli scesero a rotta di collo verso le baite del fondovalle ed avvisarono tutti quelli che incontrarono della loro allucinante scoperta.
In fretta si organizzò un gruppo di coraggiosi che salirono fino alla baita del Diavolo per accertarsi del racconto dei ragazzi.
Con ogni circospezione si avvicinarono all'edificio e guardarono attraverso la finestra. All'interno non c'era più nessuno, ma qualche indizio lasciava chiaramente intuire che in precedenza lì dentro si era lavorato parecchio!
E così quel luogo divenne per tutti la baita del Diavolo.
I testi sono tratti, per gentile concessione (con poche aggiunte di Piero Gritti) dalla pubblicazione
 "ORNICA, LA VALLE DEL SILENZIO", Tarcisio Bottani, Comune di Ornica , 1999.
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©2003 - Piero Gritti -