IL GRANDE ALBERGO

XXI

Da la finestra de la mia dimora,
che il Grande Albergo esaminando io vada;
verso il mattino, a la ridente aurora.
Ed una gamma di pensier m'invada.

Silente sia, per la ragion de l'ora,
l'intera vita in su l'alpestre strada;
e il frescolino, che dovunque affiora,
brezza diventi, che da i monti cada.

Allor disposto io sono al contemplare,
quando la pace è più profonda intorno;
e la bellezza dal sto vel traspare;

quando, regnando un gran silenzio adorno
d'estro divino, se così mi pare,
sognar potrò su la malia del giorno.

 

XXII.

Di là dal Brembo. a la sinistra sponda,
pur con l'elettro-ferrovia da tergo;
non più lontano che un tirar di fionda;
a me dinanzi è questo Grande Albergo.

Di ombrose piante un parco lo circonda
su l'un de i lati: in ornamento e usbergo
de i forestieri; quando il caldo inonda,
nel così detto solleone in gergo.

Massiccio e vasto, è con diversi piani;
rettangolo di forma; sorprendente;
pieno di luce, e di finestre e vani.

Messo lì forse, perchè, al sol cadente,
navighi, a lidi inusitati e strani,
la fantasia d'un cor per estro ardente?

 

XXIII

Mirando io vo del sovrastante ingresso
l'esatto centro de la gran magione.
E mi sovviene, come fosse adesso,
qnel dì che mi si offrì l'occasione

di transitarlo chetamente io stesso,
con una coppia di gentil persone:
per visitarne ogni intimo recesso,
dal vasto incominciando suo scalone.

A destra, o a manca, o lungo i corridoi,
coperti al suol di soffici tappeti,
oli! come ergeasi il bello intorno a noi.

Oh!, fra i dipinti in or, l'ampie pareti
come di stanze racchiudevan poi
dolci conforti; che per noi son vieti.


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