|
Venerdì 9 Settembre 2011, un giorno che non scorderò mai più.
Arrivo troppo presto a Valbondione, il buio pesto mi costringe ad aspettare mezz'ora: alle 6.30 comincia la mia salita al Coca, il ponticello sul Serio diventa la porta d'ingresso di un'infinita serpentina.
Temo per le mie ginocchia, la traversata Diavolino - Diavolo ha lasciato postumi: parto piano, punto ad arrivare almeno al rifugio, mille sudati metri di dislivello più sù, poi si vedrà.
Le curve strettissime ricamano a lungo prima il macereto e poi il bosco, dopo un'ora finalmente la mulattiera si spiana un poco inoltrandosi verso una valletta rocciosa: ecco apparire il Coca.
Oltrepassato un ponticello esco definitivamente in campo aperto per iniziare un tratto roccioso suggestivo: risalgo un sentiero - gradinata, protetto da una lunga scia di catene.
Mi affaccio su un piccolo bacino di raccolta, il rifugio fà capolino sopra la mia testa: ammiro la sua posizione ardita, nella stupenda scenografia del Pizzo di Porola.
Eccomi alla terrazza del rifugio, fin quì tutto bene: vado avanti sapendo che non sono nemmeno a metà strada, 1150 metri di dislivello mi separano dalla vetta del Coca. Tento.
Risalgo il bel vallone e raggiungo il Lago di Coca, sentinella della maestosa cattedrale dei tremila orobici: ci si sente piccolissimi quì, sono come un granello di polvere.
Il sasso segnaletico appena prima del lago mi indirizza a destrasu un ripido macereto: nuova fatica che culmina con un breve canalino quasi verticale, ma facile.
Ora il sentiero sbuca sul filo di un lungo costolone erboso affacciato sul versante sud: mi ritrovo in pieno sole ad ammirare per lungo tempo il sottostante e sempre più lontano rifugio.
La cosa mi sorprende non poco, ero convinto di dovermi inoltrare in ombrosi valloni sovrastanti il lago: mi sorge il dubbio di aver sbagliato strada.
Incontro alcuni statuari stambecchi, provo a chiedere informazioni, ma si limitano gentilissimi a cedermi il passo su questo sentiero, a tratti decisamente malandato: devo stare attento a non perdere la traccia, che sembra puntare verso l'inizio di una cresta rocciosa, affacciata sulla bastionata del Coca.
Ecco che invece un traversone verso destra sale verso una conca detritica sospesa, capisco al volo che quella alla sua testata è la Bocchetta dei Camosci: sono sul sentiero giusto.
Raggiungo il bordo dell'ampia conca, sono le 10, la stanchezza comincia a farsi sentire: mi siedo per un panino.
Quando mi rialzo ecco che all'improvviso parte una feroce ma per fortuna breve scarica di capogiri: no, non oggi...Non adesso...!!
Mi era già capitato in passato di soffrire questo disturbo, perciò sò cosa mi attende, devo decidere se proseguire. Mi scoccia troppo rinunciare, che la pazzia abbia inizio: proseguo.
Il cammino si fà più impegnativo, un macereto e terreno franoso, arrivo alla bocchetta: comincia il tratto più difficile, ma ancora non posso sapere quanto sarà dura per me arrivare in cima.
Devo subito mettermi alla prova su un severo canalino quasi verticale: la salita è classificata come AF, alpinismo facile...Secondo me quì si và ben oltre..!!
Arrivato al termine del canalino la traccia si addolcisce in una valletta e raggiunge una cengia, scelgo di andare a sinistra sul percorso più facile.
Mi rendo conto che la roccia è tutt'altro che bella, il Coca ha l'anima frantumata in miliardi di sfasciumi: devo prestare costantemente attenzione a dove appoggio mani e scarponi.
Oltretutto la via è bollata male, Il Coca non ti prende per mano benevolmente: devo fermarmi spesso per cercare i pochi sbiaditi bolli rossi.
E ogni volta partono 5 secondi di forti capogiri: per me comincia un piccolo calvario.
Mi aggiro sui meandri di questo difficile e tormentato versante: la traccia si impenna su passaggi esposti, si infila su brevi e delicate crestine, si addentra in traversi ricchi di sassi instabili.
In certi punti spuntano omini di sassi che possono a volte generare confusione, loro vanno da una parte e i bolli da quella opposta: sono già in crisi per conto mio, non ci voleva.
Stò patendo l'altitudine e la stanchezza come mai mi era capitato prima, salire è quasi penoso: mi fermo in continuazione per recuperare fiato e forze, è da pazzi continuare.
Ma non riesco a decidere di mollare: sò che ce la posso fare, affronto i passaggi più brutti solo dopo essermi riposato: le mani afferrano sicure la roccia, ma il Coca non finisce più, non finisce più..!!
Ore 11.15, improvvisamente dieci metri davanti a me appare la croce di vetta, mi fermo di colpo, stremato, quasi mi accascio abbracciando un grosso macigno, ma resto in piedi: chiudo gli occhi, ancora ansimante dopo qualche secondo riesco a pronunciare "E' finita...Non ci posso credere, è finita"....
E quasi mi viene da piangere per la sofferenza patita: adesso lo sò, salire in un'unica tirata è stata una pazzia..!!
Non ho incontrato nessuno sul mio cammino da Valbondione e nessuno mi accoglie quassù: sono sul tetto delle Orobie, da solo.
Potrei sfogarmi senza vergogna e invece sulla bocca nasce senza fatica un sorriso.
Riapro gli occhi: sono su un balcone straordinario, il più alto di tutti, sono in una cartolina soleggiatissima e calda, sono sul Coca....Sono un pazzo felice.
La prima cosa che faccio appena tocco la croce è dar fondo alle provviste del mio zaino, voglio e devo assolutamente recuperare forze.
Mi fermo in vetta per due ore, a riposare e guardarmi attorno: i panorami sono magnifici, non aggiungo altro, lascio che parlino le foto.
Alle 13.30 abbandono il Coca in compagnia di Walter, un "Imminente Pensionato" arrivato in vetta dal Curò, non più di venti minuti prima: mi chiede gentilmente se può scendere in mia compagnia e io accetto più che volentieri, nessuno dei due è entusiasta di affrontare la difficile discesa da solo.
Ci facciamo forza l'un l'altro, scendere rivela quanto sia impegnativo affrontare il Coca: arrampicare in discesa aumenta le difficoltà, siamo d'accordo che questa via và oltre la definizione di alpinismo facile.
Scendiamo molto lentamente, stiamo attenti a scovare i fatidici bolli, ma riusciamo comunque a sbagliare strada: siamo costretti ad un certo punto a tornare sui nostri passi e risalire.
Affacciarsi sull'ultimo lungo canalino incute timore, la pendenza precipita verso la Bocchetta dei Camosci: finalmente la raggiungiamo, la parte più stressante dell'escursione è finita.
Ora ci lasciamo cullare dai bellissimi colori pomeridiani di questa stupenda giornata di fine estate: il sole ridipinge le montagne, l'azzurro dal Lago di Coca toglie il fiato.
Scendiamo al rifugio, scendiamo nell'infinito bosco, scendiamo al ponticello sul Serio: alle 18.15 tutto finisce, saluto Walter e riabbraccio la mia Pandina.
Guardo sù, il Pizzo di Coca è lì davanti a me: l'ho affrontato con l'anima, il cuore, la testa e tanta pazzia: stavolta sono arrivato al limite delle mie possibilità.
Il Coca ha un fascino tutto particolare, sa di essere il più alto di tutti e ti chiede moltissimo: ma quando arrivi lassù ti regala la stupenda sensazione di aver salito la più alta vetta delle Orobie e nessun'altra vetta può offrire altrettanto..!!
Quanta fatica mi è costato salire la tua ruvida pelle, Pizzo di Coca: credimi, nel bene e nel male non scorderò mai questa giornata....
( P.S.1: La salita al Coca, secondo il mio parere, è decisamente difficile per un escursionista: guardate bene le foto scattate dalla Bocchetta del Camosci in poi, quelle della vetta...Guardate bene il terreno e la roccia, sono quelli che trovate in abbondanza salendo alla vetta.)
( P.S.2: Consiglio spassionato: se non siete più che allenati e in perfette condizioni, non affrontate il Coca in un'unica tirata, spezzate la salita in due giorni.)
|
Immagini totali: 66 | Ultimo aggiornamento: 16/09/11 17.57 | Generato da JAlbum & Chameleon | Aiuto |