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La Valle Asinina taglia in due la Valle Taleggio gettando le acque dell'omonimo torrente in quelle dell'Enna; la troviamo descritta sul pregevole testo "Rete Natura 2000" pubblicato dalla provincia di Bergamo dove compaiono in successione sia l'Asinina che la Valle Parina, quasi a significare la stretta "parentela" che accomuna questi due tenitori.
Per "parentela" si intende qualcosa di molto diverso dalla colta descrizione floristico-vegetazionale o faunistica che possiamo trovare in quelle pagine. La comunanza è data dall'isolamento dei due ternitori e dal fatto che, nonostante le asperità e la quasi inaccessibilità di entrambi, sono stati ambedue percorsi, vissuti, inseriti nel vivere quotidiano di quegli uomini o meglio di quelle famiglie che, con una vita che si avvicinava più alla sopravvivenza che al viver normale, hanno saputo trarre risorse dal duro lavoro della terra. Non è possibile descrivere la Valle Asinina attraverso numeri che ne definiscono la superficie o quote che ne caratterizzano le vette: sarebbe certamente un definire ma anche un allontanare l'attenzione dalla realtà di queste due valli attraversate da sentieri laddove sentieri sembrerebbero non esistere, insediate con baite e ricoveri laddove non si penserebbe mai, utilizzate nella risorsa boschiva laddove sembrerebbe impossibile conficcare il taglio di un'accetta nel tronco di un albero.
Per una volta tanto allontaniamoci dal desiderio di definire, inquadrare, chiarire, ma caliamoci nell'anima di questa valle e della sua gemella comunque abitata, percorsa, sudata, sofferta, frazionata in piccolissime aree: quelle delle carbonaie o dei forni della calce, disseminati in reconditi ed impossibili luoghi.
Pensiamo ai giorni ed anche alle notti di quegli uomini a loro agio in qualsiasi spaccatura di queste valli invisibili. Immaginiamoci i colpi sordi sui tronchi, le fumate azzurrine del carbone in formazione o della calce, ricordiamo le morti silenziose e lontane da tutti e da tutto o i momenti di gioia per il ritorno a valle.
Ovviamente la "natura" è certamente presente nelle sue forti peculiarità, ma i metri quadrati o gli ettari o le specie di erbe, di alberi o animali pur nella loro valenza, non rendono giustizia a quel sapere popolare tramandato a lungo ed ormai perso, all'amaro che sale in bocca quando si scoprono tracce di vita passata, tracce che un tempo erano la vita stessa di questi luoghi, ognuno con il proprio nome ormai perso anch'esso.
Entriamo con rispetto in questi silenziosi santuari della vita di un tempo ed aiutiamoli laddove sia oggettivamente possibile a riprendere quella dignità che per secoli li ha contraddistinti.
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